La paura ci accompagna fin da quando siamo bambini, sotto forma di buio, mostri e incubi vari, per poi evolversi in un'inquietante compagna sempre più realistica.
Cos'è dunque la paura? La paura viene definita come uno stato emotivo potenzialmente travolgente costituito da insicurezza, ansia e sconforto, nei confronti di qualche cosa definita. Da non confondere con lo spavento, dovuto ad un fattore inatteso, e con l'angoscia, sensazione simile ma mancante di un oggetto definito a cui riferirsi. Uno dei peggiori effetti della paura è probabilmente l'incapacità di ragionare razionalmente, che porta a trovarsi in una sorta di paralisi psico-fisica in cui non si è in grado di portare a termine il proprio obbiettivo, o di prendere una decisione, oppure ancora di reagire in modo sensato. Tutto ciò ovviamente dipende dal contesto, che può essere dei più vari: dalla paura dell'esito di un esame, alla paura di fronte ad un animale selvatico, piuttosto che la paura di fronte alla ragazza di cui siamo innamorati, oppure la paura di fronte ad un break-the-jump (termine "tecnico" con cui nel parkour si è soliti riferirsi a quei salti o movimenti la cui difficoltà sta al di la del movimento stesso, ovvero si configura in una barriera mentale che letteralmente ci paralizza).
In questo articolo il nostro obbiettivo chiaramente non è di analizzare ogni singola possibile situazione in cui si può presentare la paura, ma di delinearne i caratteri comuni e di tentare di delinearne un profilo a cui ci si possa approcciare se non altro con maggior coscienza. Iniziamo dunque il nostro percorso.
Innanzitutto analizziamo i tratti comuni dei contesti in cui è solita manifestarsi la paura: un primo elemento ricorrente è di certo l'aspettativa in senso lato, intendendo quindi ogni situazione in cui ci troviamo in attesa di qualcosa che deve ancora realizzarsi. In questi casi la paura sembra apparire come un grande dubbio scettico che si pone tra noi e l'evento atteso, come a chiederci se siamo davvero sicuri che si realizzerà. Già a questo punto troviamo la prima difficoltà, in quanto da una stabile situazione di serenità e sicurezza ci troviamo ora in uno stato di insicurezza e, relativamente al livello dell'aspettativa, in uno stato di ansia. Trovata dunque la paura, dobbiamo ora affrontarla.
Una volta relazionata all'aspettativa, potremmo pensare di agire sull'aspettativa per influenzare indirettamente la paura. Potenzialmente efficace, ha tutta l'apparenza di un approccio stoico/epicureo. Ciò che non convince in questo caso è appunto ciò che tiene lontani da queste correnti filosofiche, ovvero l'elevazione della rinuncia ad arma di difesa e l'inabissamento della felicità ad assenza di turbamento, dunque anche dei desideri la cui mancata realizzazione potrebbe produrlo. Per offrire una prospettiva più critica di questo punto di vista mi è necessario accompagnarvi in una breve divagazione ontologico-esistenziale.
Come ormai è ammesso da quasi tutti gli intellettuali contemporanei e com'è stato innumerevoli volte sostenuto in passato, il mondo e l'universo sono costitutivamente, completamente ed essenzialmente privi di qualsiasi senso e/o fine. Il tutto non è altro che un infinito susseguirsi di azioni e reazioni meccaniche e contingenti che perorano la loro esistenza all'infinito. L'uomo, almeno per quanto ne sappiamo fino ad ora, è l'unico essere che presenta la capacità di superare la sterile cosalità insensata e contingente del mondo e di elevarsi ad un livello superiore, creando in se stesso senso e fine di se stesso, della sua vita e delle sue relazioni con le cose e con gli altri. Di conseguenza l'uomo è anche l'unico essere che può raggiungere il sentimento che deriva dall'appagamento di senso e fine realizzati, che è appunto la felicità. Proprio per questo motivo sono personalmente portato a credere e sostenere che la rinuncia all'aspettativa non sia altro che la rinuncia alla nostra umanità, in particolare in relazione all'implicazione successiva, ovvero la constatazione che l'aspettativa accompagna l'uomo durante tutta la sua vita.
Tornando alla paura, sembra non resti altra scelta che provare a guardarla in faccia, ovvero analizzare lucidamente la situazione, razionalizzarla, ed in base a tutto questo cercare di elaborare una soluzione/convinzione abbastanza forte da sorreggerci nello scontro. Questo processo, estremamente schematizzato, implica una serie di ragionamenti, di dubbi, di tentativi, di fallimenti e di emozioni ulteriori che portano l'individuo a raggiungere una sempre maggiore coscienza di se stesso, del mondo, di se stesso nel mondo e del proprio senso, che con l'abitudine e la pratica costante e cosciente conducono ad un livello capacitivo superiore in ogni ambito. Questo perché in quella che può sembrare una semplice o insensata operazione sono richieste e stimolate nell'individuo sensibilità emotiva, in quanto deve riconoscere e definire ciò che lo limita, creatività e capacità di problem-solving, vista la necessità di trovare ogni volta l'approccio adatto a se stesso e alla situazione, oltre ad un'incredibile gestione e controllo psico-emotivo, in particolare sotto stress. Tutte capacità che a ben vedere risultano essere esattamente ciò che servirebbe ad ognuno di noi per vivere meglio, in quanto necessarie per risolvere la maggior parte dei problemi da cui ci sentiamo afflitti.
Nel parkour l'approccio alla paura nei break-the-jump è fondamentale sia nella pratiche sia nell'insegnamento, in cui al coach è richiesto di essere in grado di valutare ancora meglio dell'allievo le sue capacità e i suoi limiti, in modo da proporgli ogni volta sfide stimolanti e adatte al suo livello.
Per concludere, è evidente che la mia proposta si configura nel riconoscere le potenzialità di un approccio cosciente ed intelligente alla paura, per crescere psico-emotivamente sani, stabili, creativi, adattabili, diversi e robusti, ma in ogni caso non voglio imporre la mia idea a nessuno, piuttosto spero di stimolare un'adeguata riflessione sull'argomento in ogni lettore.
Elia Landolfi