Parkour, l'arte dello spostamento

 

Nell'epoca dell'intelligenza artificiale e delle super tecnologie, siamo abituati ad utilizzare con una certa competenza un gran numero di termini tecnici necessari alla gestione dei tanti dispositivi che ormai ci accompagnano nella quotidianità: "hard disk", "software", "cloud", "pixel", ecc.. D'altra parte, secondo me malauguratamente, spesso, per il poco che le usiamo, facciamo poco caso al modo in cui impieghiamo (o vengono impiegate) le parole "umanistiche", svuotandole così della loro pregnanza: "arte" diventa spesso sinonimo di fare qualcosa senza regole precise e non passibile di critica, "bello" è ciò che è socialmente approvato o promosso, "emozionante" è qualcosa che stimola la nostra immaginazione con memorie del passato o sogni di un futuro che non abbiamo il coraggio di desiderare. Senza addentrarci in vane e spinose speculazioni concettuali, veniamo al tema di oggi: il parkour come arte.

 

Quando dico, o scrivo, che il parkour è l'arte dello spostamento, lo intendo nel senso specifico dei termini utilizzati. 

 

Un'arte è una disciplina umanistica, che fa quindi riferimento all'umano sfiorando le diverse dimensioni da cui è composto, che potremmo azzardare a sintetizzare in fisica, emotiva ed intellettuale. Lo scopo dell'arte è la produzione/esecuzione di oggetti/atti (che siano quadri, danze, architetture) in cui far "vivere" i valori caratteristici dell'arte stessa. Se accettiamo questo, l'artista è il servo dell'arte, non il suo padrone. Il suo scopo è disporre le proprie facoltà fisiche, emotive ed intellettuali in modo da riuscire ad interpretare, nei suoi gesti e nelle sue opere, gli intangibili dettami dell'arte. Il linguaggio dell'arte è l'estetica, la più nobile delle estetiche: l'estetica della natura, che contiene in sé l'infinita potenzialità di espressione e palpita per realizzarsi nelle forme particolari. Per chiarire il concetto, Gurdjieff, un filosofo praticante del secolo scorso, distingueva tra arte soggettiva e arte oggettiva: la prima è l'espressione della falsa personalità del soggetto, che è quell'insieme di credenze, paure e convinzioni con cui si identifica, la seconda è l'espressione della natura attraverso l'essenza del soggetto, che invece è l'insieme delle sue caratteristiche autentiche e naturali, dei suoi talenti e dei suoi limiti. L'arte oggettiva ha un sapore diverso, sa di vero e di vita, l'arte soggettiva è artificiosa, piena di edulcoranti e coloranti estetici.

 

Lo spostamento, in questo caso chiaramente inteso come spostamento a corpo libero dell'uomo/donna/bambino/bambina, è lo spazio, limitato, in cui la nostra arte ha la possibilità di esprimersi. Senza limiti non c'è arte, come non c'è vita. Spostarsi significa muoversi da un punto A ad un punto B. Per farlo potremmo pensare ci siano infinite possibilità, ma in realtà, se riduciamo lo spostamento alla sua "essenza" e quindi pensiamo semplicemente a come spostarci, le possibilità si riducono. Il primo limite è l'efficacia: raggiungere il punto B. Il secondo limite, che completa il primo, è l'efficienza. Le classi di movimenti utili a spostarsi in modo efficiente si riducono a 4: spostamenti a terra (camminata, corsa, movimenti quadrupedi e rotolamenti), scavalcamenti, salti, arrampicata. 

 

L'arte dello spostamento è la ricerca dell'efficienza e della perfezione del gesto all'interno delle classi di movimenti in cui ha la possibilità di esprimersi. Altri movimenti possono contribuire alla preparazione, estendendo un po' il tempo di volo e in condizioni particolari possiamo aggiungere alcune rotazioni aeree, ma non molto altro. L'arte è una qualità che si impossessa del suo oggetto attraverso la sensibilità dell'artista. Come tutte le qualità, nella quantità si perde.

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